La buona scuola

Questo è un periodo in cui si sente parlare di cambiare la scuola, la cosidetta riforma della “buona scuola”, cosa c’è dunque di sbagliato e verso quale direzione va riformata la scuola? Dal punto di vista di formazione teorica, la scuola italiana è una delle migliori al mondo: lo testimoniano i tantissimi italiani che vincono borse di dottorato in giro per le università, e l’insieme di tutti i professionisti italiani che vanno ad insegnare o a fare attività in America come in giro per l’Europa. L’insieme di conoscenze che riceviamo, e la capacità che abbiamo di immagazzinarle e di farle nostre ci contraddistingue, lo può confermare un qualunque studente che ha svolto l’Erasmus e ha visto che il livello di conoscenze all’estero è mediamente più basso. Quello che ci rende non competitivi è in primo luogo il passaggio dalle competenze alle capacità, ovvero dalle cose che sappiamo a quelle che sappiamo fare. La scuola ci insegna a fare poco, non ci dà la possibilità di “impastarci le mani” su quello che stiamo facendo, e succede sia alle scuole superiori che all’università. Nelle prime, l’apprendimento è statico e passivo, con studenti che non diventano parte integrante della lezione, ma solo “database” mentali che ascoltano, prendono appunti con l’unico obiettivo di ricordare il più possibile senza mettere nulla in pratica; all’università invece, l’insieme di nozioni tecniche e teoriche acquisite non viene poi riversato con applicazioni pratiche reali, addirittura nelle lauree ingegneristiche ed economiche non c’è neanche un’esperienza lavorativa obbligatoria durante gli studi magistrali. Sarebbe più importante apprendere meno ma lavorare con mano quello che si è appreso: in una laurea in optometria in Inghilterra, per esempio, la parte solamente teorica si conclude nel primo anno e mezzo, e poi per un anno gli studenti lavorano (pagati..) in uno studio optometrico, prima affiancati per qualche mese e poi a diretto contatto con i clienti, svolgendo visite e facendo formazione. Non sarebbe più utile un approccio di questo tipo, invece che laurearsi sapendo tutti i diversi tipi di malattie oculari ma non avendo mai visto un occhio con un retinoscopio? Il secondo aspetto che andrebbe riformato invece, che deve terner conto di come il mondo si sta evolvendo rapidamente, è il trasferimento delle conoscenze tramite la comunicazione: in un’evoluzione così dinamica come quella a cui stiamo assistendo, dove avere una laurea non è più un’esclusiva che ti garantisce conoscenze uniche e accesso al lavoro, la vera differenza risiede nel saper comunicare le nozioni apprese, essere in grado di trasmetterle suscitando interesse e curiosità, riuscendo ad appassionare i propri interlocutori. Tutto questo dovrebbe essere svolto in primo luogo dai professori, che hanno il dovere di trasmettere concetti agli studenti, ma anche dai neolaureati che si affacciano al mondo del lavoro; conoscere non è più sufficiente, il salto di qualità stà nel saper comunicare in maniera efficiente; ecco che corsi di comunicazione efficace, comunicazione persuasiva, gestione degli stati d’animo e public speaking sarebbero fondamentali in qualunque corso di laurea ed andrebbero introdotti anche a livello di scuole superiori. Questa è la direzione in cui deve andare la scuola (e su cui si deve basare la crescita personale di ogni studente) se veramente vogliamo stare al passo con i tempi: in un mondo in cui le informazioni che riceviamo si moltiplicano a livello esponenziale, è fondamentale selezionarle, metterle in pratica e saperle comunicare in maniera efficace.

 

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